Un torrente in piena

Abbiamo il senso della bellezza, innato. Veniamo sedotti continuamente da qualcuno o da qualcosa. Io, personalmente, vengo rapita dal sorriso delle persone e da chi usa le sue espressioni più belle e spontanee. Si può parlare col cuore; la parola non è così necessaria. Sfoderare tutto ciò che abbiamo di bello; far brillare di gioia i nostri occhi, così tanto da essere incuranti del loro colore. Mi fermo. Contemplo ciò che ritengo bello. Mi nutro. Raccolgo cose, intercetto persone e le conservo dentro di me. Ecco… dipendo da questo nutrimento. Vado a casa e ho voglia di ricordare ciò che ho visto e ciò che ho sentito con le mie orecchie. Continuo a scrivere. Esco da una vita per entrare in un’altra. Scrivo, come un torrente in piena.

Scrivo

Scrivo. Da quando ero molto piccola. Alle elementari scrivevo cose su un quaderno. Alle medie e superiori idem. Ho sempre scritto. Mi piace. Leggevo libri, tanti, e scrivevo appunti o segnavo le cose che per me erano belle. Ho quaderni zeppi di racconti, solitamente prendevo spunto da sogni che facevo. Ricordo delle lenzuola stese al sole, a casa della zia e mi sembra di ricordare ancora quel profumo di bucato e di pulito. Ricordo cose del passato molto bene. Ora, grazie a questa malattia, ricordo molte meno cose, perdo i nomi e perdo persino le parole. Ci provo a farmele venire in mente ma è dura e lascio perdere. Mi verranno, mi dico. Non vengono. Ora scrivo anche per questo nuovo motivo: non voglio dimenticare. Ricordo una maglietta regalata da un cantante. Uno sguardo. Una birra. Un saluto. Un sogno venire notata tra la folla. Un’amicizia persa per invidia di aver avuto in regalo quella maglietta. Ce l’ho ancora, piena di buchi a causa della cintura con le borchie. Ne uscì un racconto, vinsi un premio in quinta liceo, una pergamena e un libro in regalo che ho ancora nella mia libreria. Un libro bellissimo, una storia d’amore ambientata in Russia ai tempi della guerra fredda. In giuria c’era Natalia Aspesi, andai da lei e le dissi che io volevo scrivere. Lei rispose… Fallo, continua.

Puffo Vanitoso

È questo quello che amo fare: scrivere. Da sempre. Ho uno scaffale pieno di vecchi diari e vecchi quaderni, nel box. Anni della mia vita, in quelle pagine. Scrivo quello che osservo e non penso mai alle conseguenze di ciò che scrivo; forse perché mi ero abituata a scrivere senza venire letta da nessuno. Erano cose mie, cose che mi accadevano o scansioni complete di persone che conoscevo. Guardavo e prendevo appunti. Ero attenta ai dettagli e lo sono ancora. Ora scrivo pubblicamente. Scrivo nello stesso identico modo. Brutto o bello, scrivo di me. Andare a ruota libera. Buttare fuori tutto. Si è come si è. Mettersi a nudo, completamente. Potresti diventare un bersaglio? Potrebbero colpirti? Son così, anche nella mia copia dal vero. Ascolto ciò che mi dicono e prendo ciò che mi interessa. Faccio, quasi sempre, di testa mia. Paure, fragilità, difetti… dico tutto. Esalto i pregi, poiché son pur sempre un gemelli e sono vanitosa. Come il puffo, il mio preferito era proprio Puffo Vanitoso. Io, però, giro senza specchio. Non piango da tantissimo. Sono bloccata o son fatta così? Colpa del mio nonno. Quando finii dentro al fosso con la bici, lui mi tirò fuori. ‘Asciuga le lacrime che non servono, ma cerchiamo di trovare il modo di tornare a casa in fretta o morirai dissanguata’, disse. Eppure so che, se avesse saputo della mia malattia, avrebbe pianto e sofferto, eccome. Mi piacciono le sorprese. Quando qualcuno di voi mi dedica un post perché ha pensato a me… ecco… sono felice. Non so mantenere i segreti. Non sono capace di nascondere i regali e so sempre dove cercare i miei. Commetto errori di giudizio. Chiedo scusa, poi, spesso, però, mi pento di averlo fatto. Non riesco a fare progetti o a guardare troppo avanti: mi sento un’eterna adolescente. Per chi amo, non vado da nessuna parte. Resto accanto. Non fuggo, resto, anche se ci sono momenti che ti portano a volere un altro luogo. Resto, anche per chi nemmeno lo sa. Agisco. Sempre e, il più delle volte, d’impulso e senza cercare consensi: il mio è sempre sufficiente. Da che cosa dobbiamo proteggerci? Dalle persone, quelle che ci fanno più paura? Da noi stessi? Dal tempo che passa? Non si dispone di tempo infinito. Ecco, però so che è questo quello che amo più fare.

Scrivere di se

Avere il coraggio di scrivere come se si parlasse con un amico. Scrivere di se e di quello che si ha dentro. Aprire la porta e fare uscire il proprio flusso. Non avere paura di giudizi esterni. Occorre solamente gettare fuori. In modo semplice e pulito. Si è come si è. Siamo così. Ci si può soffermare a farsi un esame di coscienza quando ci si sente un po’ in bilico. Avere paura di altro ma non di venire giudicati. Prestare attenzione al proprio corpo e alla propria mente. Avvertire segnali, essere pronti a coglierli. Sentirsi giù… un campanello che mette in allarme. L’ho avuto l’altro giorno. Essere un po’ giù, non vedersi carini. Mi son fermata e ho pensato. Perché? Sto sempre con le antenne, le ho preparate. Sono le nuove pastiglie oppure è un piccolo momento di stanchezza, quello che può avere chiunque? Si, credo sia così. Ma la paura del ritorno nel baratro è sempre lì a tenermi attenta e in allerta. Mai perdere l’attenzione al proprio io. Mai, non ce lo si può permettere mai. Alzarsi, guardarsi e vedersi bene. Pericolo scampato. È già sufficiente l’occhio che vede ciò che vuole, un piccolo restringimento del proprio campo visivo che porta a un ondeggiamento continuo. Ma son pur sempre al mare, mi faccio cullare come se fossi tra le onde.

Lettere non spedite

Capita di avere scritto lettere e non averle spedite. Capita. Scrivere a qualcuno è un gesto intimo, dove mettiamo a nudo la parte bella di noi. Vogliamo colpire, vogliamo fare sapere. Le lettere, però, bisogna meritarsele. Bisogna meritarsi un cotanto impegno. Bisogna essere capaci di apprezzare. Ci sono persone che usano le tue parole nude per ridere e per ridere di te. O per avere una scusa per colpire nella parte svelata, quella che hai spogliato con molta attenzione. Se lasci aperto o apri il tuo cuore, farai la scelta giusta, così dicono. Non è sempre vero. Vorresti fare delle domande. Ma anche queste bisogna meritarsele, perché scrivere è un dono che fai. Bisogna evitare di venire delusi dalle mancanze o dalla poca umanità degli altri. Bisogna evitare di scoprire parti che poi verranno usate per colpire la tua parte più bella. Si fanno grandi errori di valutazione. Ci si convive. Bisogna cercare di rimanere puri e integri e non cambiare e non chiudere porte. Il passato non può ricadere sulle anime presenti, quelle che non hanno voglia di perdere le cose più belle di te. Mai mettere in dubbio la propria parte più bella per colpa di chi ti ha umiliato senza nemmeno esserne cosciente. Non dobbiamo cambiare noi, dobbiamo solo essere capaci di cambiare direzione nel minor tempo possibile.
E l’ordine è: continuare ad avanzare. Divieto assoluto di danneggiare oltre. Ordine tassativo: non tornare sulle cose che hanno fatto molto male. Bisogna essere lucidi per capire chi ti ha trattato come non meritavi. Il silenzio non si merita perché, sapere, è un diritto. Si può imparare però a sbarrare le porte alle anime impure, chiuderle a tante mandate e non aprirle mai più. Non senza afferrare almeno una frase che contenga la parola Scusa.

Scrivere

Sto bene quando scrivo. Scrivo di continuo. Amo i quaderni e anche le penne, quelle che scrivono di nero. Scrivo da sempre, come se fosse l’unica cosa che mi riesca e che mi sia sempre riuscita bene fare. Scrivere per mettersi a nudo e non avere filtri. Sono io quando scrivo, sono la vera me. Non ho nessuno che mi chieda di farlo bene, sono io l’unica persona alla quale rendere conto: la vera me, la mia anima, la parte più intima. Scrivo qualsiasi cosa abbia in mente, scrivo pensieri miei o che capto in giro. Assorbo cose dall’esterno e le rimastico fino a farle mie. E lo faccio bene perché nessuno mi può giudicare, perché non ci sono persone da accontentare quando si tratta di mettere nero su bianco la cosa più preziosa e intima che hai. Il dentro. Ogni dentro è diverso dall’altro e unico come le impronte digitali. Per questo lo si fa sempre bene.