Riprendo in mano quel pezzo di vita che mi era stato tolto.
Mi ripulisco. Mi disinfetto con l’alcool che brucia su una ferita. Soffio. Soffio forte. Il bruciore si quieta.

Lo facevamo da bambini.
Acqua ossigenata che faceva la schiuma e il rumore in sottofondo come un bicchiere di Coca Cola versata veloce.

Stavamo a guardare. Soffia, soffia diceva la mamma mentre anche la sua bocca faceva aria per calmare quella sensazione.

Le croste si creavano da sole, il giorno dopo. Lasciale, non levartele o ti rimarranno i segni. Per questo ho stampe indelebili sulla pelle bianca e trasparente.
Marchi impressi accanto al colore scuro delle vene sotto.

Soffiare sulle candeline mentre qualcuno, dietro, non resiste e lo fa per te.
E allora? Sarà mica che devo condividere il mio desiderio? O regalarlo?

Io lo esprimo. La festa è mia e ne ho diritto io.
Chiudo gli occhi.

Due bimbetti si fanno dispetti.
Gli adulti riaccendono di continuo quelle candele. Una mano sulla bocca per il tempo dello spegnimento.

No, non regalo nulla, il desiderio è tutto mio. Il tempo che mi è stato tolto in modo arbitrario non lo recupero più. Quel patto è finito. Scatto veloce, non lascio vantaggio alcuno.

E se l’Inter vince lo scudetto ti porto con me sotto la curva Nord.

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