Ricordo lo zio Anteo. La prima volta che lo conobbi, tanto da riconoscerlo, fu ai miei cinque anni. Un uomo elegante con gli occhi blu. Era sempre in giacca e cravatta, anche in casa. Mi accorsi che aveva una mano che mi affascinava moltissimo: aveva le falangi mozzate. ‘Zio Anteo hai una mano bellissima, come si fa ad averla?’. ‘Alessandra , è stato un tedesco’. ‘Wow!’. ‘Mica tanto, un giorno ti racconterò’. Morì l’anno dopo e non mi raccontò nulla. Corsi dalla mia insegnante di chitarra, di Monaco di Baviera, e le chiesi se anche lei mozzasse le dita. ‘Se tu non studi io mozzo tita ‘. Wow, pensai. Un giorno la mia mamma mi portò dal dentista. ‘Sono Inge, vieni Alessandra’. L’infermiera del dentista mi portò sulla sedia. ‘Come mai parli strano? ‘chiesi. ‘Sono tedesca, non parlo strano, parlo con accento’. ‘Anche tu sei una di quelle che mozza le dita dei giovani?’.
La mia mamma mi voleva uccidere e, mentre si sotterreva, Inge mi diede una sberla in testa. ‘Occhio a quello che dici bimba’. Qui son tutti strani, pensai.

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